Il modello intelligente

MODELLO: VERSO UNA LOGICA DELLA SIMULAZIONE.
di Antonino Saggio

Gli strumenti forniti dalla nuova tecnologia fanno sì che i dati non siano più rigidi, come avviene nei supporti traduzionali, ma dinamici, facilmente modificabili, sia nella singolarità che nelle relazioni.
Il foglio di calcolo, il worksheet, pone le basi di un modo di pensare molto potente, il cosiddetto what-if (cosa accade all’insieme se cambia un determinato valore) permettendo la scelta tra più opzioni di configurazione.
I progetti, al fine di raggiungere la migliore soluzione complessiva grazie alle molteplici possibilità di scelta, tendono così ad essere organizzati secondo “modelli”, strutture che formalizzano delle relazioni tra delle incognite.
Il modello diventa “vivo” grazie alle strutture gerarchice che consentono l’organizzazione del progetto, nelle tre dimensioni, secondo una piramide rovescia attraverso la combinazioni in insiemi degli elementi primitive, instance, object e class.
Si determina così un ambiente di progettazione flessibile di relazioni dinamiche tra i dati: il primitivo “vetro” e il primitivo “profilato”, una volta uniti nell’oggetto “finestra”, diventano delle instance, dei simboli, delle ricorrenze del primitivo, duplicabili e parametricamente modificabili (se si volesse cambiare lo spessore del vetro di tutte le finestre, basta cambiare quello del vetro primitivo).
Unendo le strutture gerarchiche ai worksheet, si capiscono le potenzialità del modello, sintetizzabili in quattro attività fondamentali:

1. la modifica degli elementi del progetto, non solo nel loro impatto visuale ma anche nelle loro conseguenze quantitative, grazie all’inserimento degli elementi grafici nei worksheet abbinandoli ad  informazioni ad esempio di costi e benefici.
2. l’analisi critica, ma anche le documentazione delle fasi e le alternative di progetto, con la possibilità del mostra e nascondi e all’accesso dei singoli oggetti della struttura gerarchica.
3. l’analisi e la simulazione realistica, con la possibilità di variare le viste, i colori, i gradi di trasparenza, ecc.
4. la simulazione e le ipotesi alternative di restauro sui materiali con le modifiche apportate ai primitivi.

Queste quattro caratteristiche coesistono in un unico prodotto che diventa un vero modello intelligente e fanno capire come “l’informatica si inserisce in quell’aspirazione alla qualità, al non adeguamento a un requisito prefissato, all’effettiva ricerca di un possibile che dovrebbe essere un aspetto fondativo della progettazione contemporanea e diventa uno strumento nello sforzo di adeguamento verso la socializzazione, la formalizzazione, la previsione e l’esplicitazione delle scelte”.

Informazione, simbolo e architettura, ovvero: Sydney-Bilbao in barca a vela

Nel mondo informatico, per andare da Sydney a Bilbao e viceversa, basta un attimo, un clic, un link, ma in quello reale, soprattutto se parliamo di architettura, è come fare un viaggio in barca dove protagoniste sono le vele, quelle di Jørn Utzon per intenderci.
Si parte dall’Opera House di Sydney nel 1956 dove l’architetto danese propone le basi fondamentali per quella che definiremo la futura architettura dell’informazione – informazione intesa per definizione come l’applicazione di una convenzione, un insieme di regole, ad un dato, il minimo elemento di modifica di una situazione precedente-.
Con Utzon c’è un cambio di obiettivo in cui la convenzione è rivolta alla comunicazione e all’in-formare – modellare secondo la forma – e non più alla risoluzione delle funzioni specifiche: le vele avvolgono le svariate aree funzionali del progetto. Siamo però in un meccanismo prettamente di logica informatica – non esistono i dati, ma solo le informazioni – in cui la forma, o il simbolo deve avere un significato che nel caso specifico, differente dalle vecchie manifestazioni di potere, è quello del “rappresentare la collettività”.
Il linguaggio creato, di derivazione modernista, per diventare contemporaneo ha bisogno di un salto in cui il simbolo deve diventare figura retorica, una defizione non univoca, di più ampia interpretazione, essere iper-soggettivo e permettere di interagire, di partecipare al processo comunicativo – io esisto in quanto informo -, di essere pro-active.
Alla fine si arriva al link, l’elemento fondamentale su cui si basa internet, la rete interconnessa, figlio di questa epoca dell’informazione – “della terza ondata” come la chiamerebbe lo scrittore e “futurologo” statunitense Alvin Toffler -; si giunge al museo Guggenheim di Bilbao di Frank Gerhy nel 1997, un collegamento ipertestuale che si aggancia sia al contesto della realtà caotica locale della ferrovia, fiume, ponte, banchine – Gehry sceglie l’area di progetto, un nodo di intersezioni nella città –
sia al mondo della informazione proponendo un puro simbolo “una specie di scultura altissima” […] “segno tanto inutile quanto indispensabile”. Il museo ha un valore informativo preponderante – che è il valore aggiunto, anche dal punto di vista economico – ed è basato su un concetto che il prof. Antonino Saggio definisce marsupiale: l’interazione in continuo movimento dove il dentro e il fuori ci sono, ma si confondono.
Il simbolo diventa supersimbolo e la parola marsupiale mi ricorda i canguri e i canguri mi fanno pensare alle vele, chissà perché.

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Titolo: La carta di Zurigo (Eisenman – De Kerckhove – Saggio)

Autore: Barzon Furio
Editore: Testo & Immagine
Collana: Universale di architettura
Sezione: La Rivoluzione Informatica

La carta di Zurigo è il risultato di un ampio dibattito sui temi delle nuove tecnologie digitali avvenuto l’11 Aprile del 2000 all’ETH di Zurigo alla presentazione della collana “Rivolizione informatica” di cui il libro fa parte.
L’autore, Furio Barzon, sin dall’inizio attribuisce al testo un valore fondamentale, “un germe per la creazione di una mappa operativa per gli architetti di domani” e sintetizza subito l’esito del confronto che vede come attori principali Peter Eisenman, Derrik De Kerckhove e Antonino Saggio, a cui darà singolarmente ampio spazio.
La carta di Zurigo, lungi dall’essere un manifesto dogmatico e ideologico, propone la lettura delle realtà e delle crisi come linee guida per il concepimento delle idee e delle ipotesi del lavoro progettuale: le regole del mondo creano una cosiddetta struttura aperta, anche detta matrice.

Marcos Novak, Echinoderm 2002
La matrice programmatica che viene fuori dalla discussione sulla “Nuova Realtà”, come la definisce in apertura Gerhard Schmmitt, è composta da nove punti: la giungla(1), visione tattile(2), nuovi algoritmi(3), modelli informatici(4), spazio virtuale(5), trasgressione(6), interattività(7), interconnessione dinamica(8), total sorrounding(9).
Il nuovo mondo, quello odierno, è un posto ancora inesplorato e la qualità delle relazioni tra architettura e questa nuova natura senza confini prestabiliti è da riesaminare. La mancanza di punti di riferimento(1), la mancanza di dialettica, secondo Peter Eisenman, provoca una serie di problemi soprattutto in termini di valore (ad esempio la determinazione dell’originale dalla copia) e il bisogno di una matrice critica per la valutazione oggettiva, differente da quella delle epoche passate.

Digital-all Studio, Ammar Eloueini-Céline Parmentier
Attingere alle varie scienze per modificare e trasformare la natura dell’architettura attraverso la sperimentazione(6) è necessario, ma non sufficiente: sta all’architetto di oggi costruire i propri strumenti “capaci di produrre i complessi ambienti necessari alla nostra attuale condizione”(3).
Oggi non operiamo più con solo due spazi, mentale e fisico, ma con un terzo, il cyberspace, che è un vero sostituto della realtà(5), totalmente immersivo(9).

Ian+, New Tomhiro Museum
Derrik De Kerckhove esamina attentamente l’evoluzione del linguaggio e della percezione connessa all’attività cognitiva, fino ad arrivare alla conclusione che con l’attuale realtà virtuale ci vogliamo riappropriare dei sensi, ovvero ci stiamo spostando da una modalità visuale ad una tattile(2). Se il linguaggio ha creato la mente privata e la televisione, la mente collettiva, internet, attraverso il “clic” collega le menti private tra loro.

Eth, Istituto di Neuroinformatica, 2002
Antonino Saggio ne dà conferma affermando che  “il centro della rivoluzione informatica” è “la capacità degli atomi informativi di essere interconnessi”(8). Parallelamente al ragionamento di Eisenman, si deve guardare all’interno della struttura elettronica-informatica, che presenta modelli modificabili e riplasmabili(4), per poi tradurne le caratteristiche in architettura. Per Saggio l’elemento necessario è l’interattività(7) e va oltre, descrive l’interattività emotiva: una architettura che inter-reagisce, che si adatta ai desideri degli utenti ed è “capace di narrare storie aperte”.

Eric Van Egeerat, Eth World
Il testo affronta in maniera pesata varie tematiche (linguaggio, architettura, percezione, società, etc) e le connette tra loro, creando un percoso visivo e mentale di concetti, seppur complessi, di facile assimilazione grazie alla sua struttura “ipertestuale” e alle immagini.
Sebbene redatto nel 2000, risulta attualissimo ed è una lettura accessibile a tutti, necessaria alla comprensione dell’epoca in cui stiamo vivendo.

NEW SUBSTANCES

INFORMATION TECHNOLOGY AND THE RENEWAL OF ARCHITECTURE

(Antonino Saggio – published in “Il Progetto” #6, january 2000 pp. 32-35 )

Queste sostanze trovano nell’informatica allo stesso tempo la loro causa e il loro strumento. Informatica, naturalmente, non significa affatto, nessuno più banalizza più sino a questo punto, che oggi “si disegna al computer”, quanto che viviamo in una fase di cambiamento epocale. Le aree si liberano, si cerca un rapporto più stretto con l’ambiente, si pensa alla architettura come ibridazione tra natura, paesaggio e tecnologia, si cercano spazi come sistemi complessi sempre più interagenti perché l’Informatica ha cambiato e sta cambiando il nostro essere al mondo ed ha aperto nuove possibilità al nostro futuro.

La terza ondata “Toffleriana”, l’era dell’informazione, l’epoca in cui viviamo è caratterizzata non più dalla fabbricazione dei beni, bensì da quella delle informazioni.

Le vecchie sedi produttive hanno perso la loro imponente fisicità statica a favore della dinamicità, dove l’importanza del luogo non ha un ruolo determinante perché l’informazione la si può fare anche da casa.

Il vecchio organo monofunzionale viene sostituito dal “sistema”. In architettura il concetto è trasposto sia in termini di reintegrazione, con l’urbanscape e gli intrecci tra nuovo e preesistete,  di rivalorizzazione, con il paesaggio e la natura come presenza attiva e integrata nella città, di reinterpretazione dello spazio, con interno e esterno come elementi sinergici, di ottimizzazione.
L’informatica è protagonista e artefice di questo scenario dal punto di vista pratico e teorico, permettendo la trasmissione e la condivisione di informazioni in maniera instantanea e, di conseguenza, la creazione di un nuovo modo di pensare basato sul concetto di algoritmo, collegamento, ma soprattutto di rete.Si può dire senza indugio che viviamo nell’età della rete globale, dove l’attività preminente è l’interattività, e questa realtà ha senso solo se c’è un sistema di reti connesse simultaneamente. Vista dall’interno la rete è una entità ambivalente, come un computer può avere due valori: o in una rete tutto è interconnesso (c’è corrente, acceso, 1) o una rete è vuota (non c’è corrente, spento, 0).

Il libro Disappearing Architecture ci suggerisce che la rete è “un posto che non è da nessuna parte in particolare, ma ovunque allo stesso momento“, “un ambiente di realtà mista, dominata da logica liquida” e guarda verso il futuro: per fare un salto evoluzionistico bisogna ragionare in termini quantici (sia dal punto di vista computazionale, ma anche architettonico), dove 1 e 0 sono calcolati allo stesso momento.

Non si parla di hyperarchicture, ma addirittura di heterarchitecture dove lo spazio reale (1, off-line) e virtuale (0,on-line) coesistono allo stesso momento. Si parla di scenari on/off, dove al posto di accendere la luce, si accende un flusso di dati: si parla di realtà aumentata. L’architettura diventa un oggetto quantico integrando l’infrastruttura tecnologica dell’informazione e capace di non essere in uno stato non solo di 0 o di 1, ma entrambi, interno e esterno, inclusivo ed esclusivo, in pratica una piattaforma, una interfaccia tra il reale e il virtuale, comunitario e ipersoggettivo (forse anche democratico). La heterarchitecture, citando sempre il libro, è un’architettura invisibile che rende numerosi mondi paralleli virtuali visibili, “a place related to other places but with no place of its own“.

Poiché il ragionamento architettonico sta andando in questa direzione (metaforica e multiverso), come anche la tecnologia e il mondo dell’informazione, la domanda che mi pongo è: se per la rivoluzione industriale fu la trasparenza, forse per la rivoluzione informatica l’elemento catalizzatore lo si potrà indentificare con l’etereo, l’invisibile?

E’ una possibilità.